«La mafia dalla Sicilia risalirà l’intera penisola per forse portarsi anche al di là delle Alpi».
È stato profetico anche in questo caso, don Luigi Sturzo. La frase è sua. Il prete impegnato in politica, il fondatore del Partito Popolare Italiano, l’uomo dell’appello ai liberi e forti, il sociologo, il sacerdote a fianco dei più deboli, pronunciò parole molto chiare sulla mafia.
Scrisse anche un testo teatrale, un dramma in cinque atti dove si parla apertamente del fenomeno – una delle prime volte in assoluto –, lo si chiama per nome. A partire dal titolo: “La mafia”. Una denuncia del legame tra l’organizzazione criminale e la politica. La prima rappresentazione avvenne quando l’autore, già ordinato sacerdote, aveva 28 anni. Febbraio 1900. Teatro Silvio Pellico, Sicilia, la sua città natale: Caltagirone. Poi, per questo testo, l’oblio.
Venne recuperato solo negli anni ’70, riadattato dal drammaturgo Diego Fabbri e portato in scena dal Centro Mario Apollonio. In questa versione “La mafia” fu rappresentata al Festival di Formello e alla festa dell’Amicizia a Pescara. Proprio a Pescara la Rai registrò l’edizione radiofonica, in onda su Radiouno la sera del 6 novembre 1978. Tra gli interpreti: Walter Maestosi e Carlo Alighiero. Regia di Mario Giampaolo.
Nel 2021, anno del 150° dalla nascita di Sturzo (1871-1959), RAI Radio Techetè ha riproposto l’opera in due parti, anticipate da altrettanti incontri a cura di Danilo Angelelli. Il primo è con il professor Nicola Antonetti, presidente dell’Istituto Luigi Sturzo; il secondo è con Piero Maccarinelli, regista teatrale e direttore artistico, che ha di recente riportato in scena questo testo del teatro sturziano.